Copy che?

Ma tu che lavoro fai esattamente?
È il titolo dell’articolo di Francesca Parviero che ha pubblicato sul suo nuovo sito. Parla della bellissima iniziativa promossa da LinkedIn: Bring in Your Parents day (#BIYP).
Quante volte vi hanno fatto questa domanda?
È una delle domande che mi sento fare più di frequente. Non dai miei clienti, (altrimenti dovrei farmi qualche domanda), ma dalle tante persone che mi conoscono. Quando le incontro, dopo la domanda “che fine hai fatto?” mi chiedono, se non l’hanno ancora fatto, di cosa mi occupo.
Io rispondo sempre così: lavoro per aiutare le persone e le imprese a comunicare e a raccontare il loro valore, online e offline. Poi aggiungo che lo faccio con le parole, e solo a quel punto dico copywriter e communication strategist. Che poi non è una professione nuovissima ma, a differenza di art director o grafico, lo sguardo perplesso è sempre in agguato. Se dici “faccio l’avvocato” oppure “faccio il giornalista” le persone capiscono subito. Invece per me (e per tutti i miei colleghi che fanno mestieri nuovi o semi) è sempre difficile spiegare. E qui penso sempre a Guccini (e alla bio Twitter di Mafe de Baggis). 😉
Fino a poco tempo fa, il più perplesso era mio papà, che non mancava mai di chiedermi (ogni maledetta domenica): “spiegami un po’ che lavoro fai che non l’ho ancora capito e non so spiegarlo alla gente”.
“Sono copywriter, papà.”
“Copy che?”
Tra l’altro, sull’argomento Annamaria Testa ha scritto un bellissimo articolo qui.
Ecco perché ho cominciato a raccontare il perché e il come faccio il mio lavoro e a farlo vedere, e non “che cosa sono”.
Sì, ma perché faccio il mestiere di copywriter (per me, il più bello del mondo)? Perché voglio far arrivare le cose alle persone, in modo semplice. Voglio aiutare a costruire relazioni tra i miei clienti e i loro.
Nessuno nella mia famiglia si occupa di comunicazione, scrittura, web e dintorni. Solo io. Mio papà è stato idraulico, mia mamma infermiera, i miei nonni contadini. La mia professione l’ho scelta tra un milione di altre scelte, studiando sodo, imparando a lavorare, anche facendo altri mestieri. Nella mia vita ho pensato di fare l’insegnante, l’infermiera, il veterinario (e pure l’attrice teatrale). Tutte professioni meravigliose che poi non ho scelto. Ma tutte hanno delle cose in comune: implicano in qualche modo il prendersi cura, l’aiutare e una forte motivazione. Ecco, credo che, indipendentemente dal lavoro che una persona faccia, la cosa più importante sia il modo in cui sceglie di farlo a fare la differenza. Ed è il percorso personale a influire sul come una persona fa il suo lavoro.
Come scrive Francesca:
“Iniziare a percorrere il proprio percorso lavorativo vuol dire sì prendere una direzione ma a volte quello che si compie è solo un passo avanti, importante e fondamentale, ma che fa già parte in maniera più o meno consapevole di un viaggio iniziato tempo prima. “
Il mio? È stato un percorso che mi ha portato a una scelta consapevole: aiutare le persone e le imprese a comunicare mettendosi in relazione con le persone.
A un certo punto ho scelto la strada del lavoro in proprio che, in fondo sapevo, non poteva che essere quella. È una spinta che ho sempre sentito dentro. E l’ispirazione e il buon esempio l’ho avuto da mio papà che ha sempre lavorato duro, nella fatica, ma sempre con quella luce negli occhi che leggi solo nelle persone che amano quello che fanno. È da lui che ho preso l’ispirazione per aprire un’impresa, scegliere una strada fatta di impegno, crescita e studio continuo. Ed è mia madre che mi ha dato l’esempio sulla cura e l’attenzione verso prossimo.
La mia nonna mi ha sempre dato la gioia, sorrisi e l’ascolto più attento che si possa immaginare. È a lei che devo l’amore per le storie, raccontate per insegnarmi sempre qualcosa. Lei era veneta e in cascina si faceva filò (ecco, mi mancano molto le sue storie).
Da ognuno di loro ho avuto l’esempio sul significato di passione, amore per quello che si fa e, non ultimo, senso del dovere che si costruisce con la responsabilità, l’orgoglio e con il sacrificio.
E forse, non è poi così importante che mio padre sappia esattamente che lavoro faccio: quello che più conta è che sia fiero di me per quello che sono diventata, anche grazie a lui.