Dire e fare: cosa ho imparato durante Special Olympics Biella 2017

Quando Susanna e Charlie mi hanno telefonato per entrare a far parte del team “Giochi Nazionali Estivi Special Olympics Biella 2017”, ho detto sì. Un sì che è rimasto vivo da quel giugno 2012, la mia prima esperienza con il movimento.
Una delle cose che più mi ha tenuta legata a Special Olympics è l’esempio di quei due. Nel 2012 abbiamo condiviso giornate e nottate per organizzare, risolvere, ridere, confrontarci e confortarci per fare in modo che quella settimana fosse speciale per i protagonisti indiscussi: gli atleti.
E, cinque anni dopo, rieccoci.
Ecco, a quella telefonata ho risposto: “a voi due non posso dire no”.
Sul mio badge dello staff, ho scelto di scrivere Charlie e Susanna’s angel. Sono stata lì per supportarli, per aiutarli ad arrivare dove loro non riuscivano o non potevano. “Sono qui per voi”.
Ho scelto di lavorare per loro e di donare una parte del mio tempo in maniera gratuita. Regalare il mio lavoro è frutto di una scelta che faccio di rado: non lavoro gratis per nessuno se non per progetti in cui credo e che possono regalarmi qualcosa da impare.
A una settimana dalla fine dei Giochi, eccomi qui a fare un bilancio delle cose che ho imparato, delle cose a cui non posso rinunciare quando si gioca in squadra, delle persone di cui voglio circondarmi nel lavoro e nella vita.
Squadra che vince non si cambia
Mi capita mlto spesso di lavorare in e con un team. Ecco, quando la squadra funziona, funziona anche il lavoro e si riduce la fatica. Quando tutti remano verso la stessa direzione è tutto più semplice (semplice per modo di dire). Dove non arriva uno arriva l’altro. Ho incontrato persone che già conoscevo, persone che ho tenuto nel cuore e con le quali è rimasto un legame forte. Ho anche incontrato persone nuove e, alcune di loro, non voglio perderle. Sono uomini e donne che si sono spremuti, che mi hanno dato aiuto e fiducia e, sopra ogni altra cosa, entusiasmo e forza quando il panico mi ha assalita (più e più volte).
Non c’è niente da fare: le persone con le quali lavori meglio (e quelle che scegli) sono quelle che respirano al tuo ritmo, che hanno un passo simile al tuo.
Verso la stessa direzione
Al bando “Sì, ma non ho tempo”, “Sì, ma fallo tu”. Da quando ho scelto il nuovo paradigma del “Sì, e” invece del “Sì, ma” ho fatto una scelta di metodo, di vita, di persone. Qui si lavora insieme per un unico grande obiettivo: fare in modo che tutto funzioni e che gli atleti vivano la loro settimana senza ansie e preoccupazioni. Possiamo farlo? Ne abbiamo le capacità? Sì? E allora si fa. Punto. Con i “sì, ma” non si va lontano, si resta fermi e non si evolve. Io voglio crescere solo con le persone che smettono di dire “è impossibile” e, guardandoti negli occhi, urlano “Sì, possiamo farlo e lo facciamo”.
Mi sono resa conto ancora di più di quanto una squadra che lavora bene possa anche fare l’impossibile. E quando davanti hai un leader che si sporca le mani esattamente come stai facendo tu, la fatica scema (e la metti pure da parte).
Sporcarsi le mani insieme
Quest’anno tra le altre cose ho affiancato il responsabile dei volontari. Secondo me è uno dei compiti più difficili perché non devi solo premurarti di fare le assegnazioni, dare tutte le comunicazioni, ma devi essere presente per le persone. Soprattutto per tutti i ragazzi che hanno partecipato (sono stati circa 500 gli studenti che hanno scelto di fare i volontari per l’evento): per loro devi essere un esempio, un punto di riferimento, una risposta alle loro domande. E lo devi fare stando al loro fianco, sporcandoti per prima le mani. C’è da pulire il campo dopo la cerimonia? Si va tutti insieme.
Io a quelli che comandano dall’alto senza sporcarsi le mani non do retta (non ho mai dato retta).
Ancora oggi, ho il cuore pieno di gioia per aver lavorato al loro fianco. Al prossimo che mi dice che i giovani non hanno aspirazione e non fanno mai nulla lo prendo a calci.
Sporcarsi le mani significa anche affrontare gli imprevisti e saperli gestire perché tutto ritorni a funzionare (e io a respirare).
Non si smette mai di imparare
Mi sono occupata davvero di tutto durante questi Giochi. Ho imparato, ho sgranato gli occhi di fronte a richieste improbabili e ho cercato soluzioni alternative suddividendo problemi troppo grandi in piccoli problemi più semplici. Cosa è successo? Ho messo in atto tutte quelle strategie che ho imparato nella mia vita, nel lavoro e nella formazione, dall’esempio e dalla vicinanza di persone di cui mi fido e dal cambiare prospettiva. E per farlo devi essere saldo e centrato altrimenti diventi tui stesso un problema da risolvere.
Ho imparato come funziona un impianto elettrico provvisorio e ora so la differenza tra un monofase e un trifase (prima davo solo per scontato che qualcuno sapesse come fare e lo facesse), che la potenza che ti serve per far funzionare tutto dipende da un buon progetto iniziale: questo non mi farà diventare un elettricista, ma mi aiuterà a essere presa sul serio quando dico che senza un progetto (e una strategia) non si va da nessuna parte.
Ho imparato anche che una donna che parla di impianti elettrici, edilizia, muletti e sicurezza ha meno probabilità di essere ascoltata e molte più probabilità di avere piedi in testa se non alza la voce e si fa valere. Questo vale per tante altre cose, ma in un ambiente considerato (solo) maschile ancora di più.
Assenza (in)giustificata
Durante la settimana (ehm, e qualche settimana prima) sei pressoché assente da casa, assente da ogni piattaforma, assente al telefono. Assente. E se intorno a te non hai persone che capiscono e comprendono questo, finirai per litigare con ognuno di loro, clienti compresi.
Mi sono persa un sacco di cose in queste ultime settimane e ho dovuto fare delle rinunce, anche difficili.
Prima fra tutte, non assistere alle gare. Sono un’atleta (o meglio, lo sono stata) ed è una cosa che rimane: se non sei sulla pista a correre vuoi vedere gli altri e fare il tifo per loro. È stato tutto un lavoro dietro le quinte per fare in modo che tutto funzionasse. Me le sono perse tutte, un’altra volta, come nel 2012.
Quest’anno niente spettacolo itinerante con Teatrando al Brich, per esempio. E io sola so quanto lo avrei desiderato. Il teatro è vitale per me. Ma ho scelto di rinunciare consapevolmente, perché non avrei avuto la forza di fare entrambe le cose.
Non aver festeggiato il mio compleanno ed essere crollata sul divano dopo un bicchiere di prosecco, prima del tramonto.
Ora sono tornata nel mondo reale, fuori dai Giochi. Sono cambiata, sono cresciuta, sono diversa da prima. È quello che succede ogni volta che ci spingiamo verso qualcosa di nuovo per cambiare il mondo. Un pezzetto alla volta. E poi si ricomincia.