Abbracciare il cambiamento per lasciare un segno

 

Il cambiamento è letteralmente l’unica costante della vita. 
Possiamo sentirlo come una fine e come un nuovo inizio. Scegliere come considerarlo e raccontarlo dipende da noi.

Secondo la biologia, le nostre cellule si rinnovano ogni 7 anni. E la psicologia individua in 7 i cicli di trasformazione individuale.
Il 7 è uno dei miei numeri magici, insieme al 3.


Quest’anno sono entrata nel mio settimo ciclo di trasformazione individuale e oggi ho compiuto 7 anni di lavoro in proprio. E qualcosa è successo. Sta accadendo.

 

 

Il cambiamento è letteralmente l’unica costante della scienza

Lo diceva Meredith Grey durante la prima puntata della settima stagione (guarda caso, la 7) ed è una costante della nostra vita, aggiungo io.

«Biologicamente diventiamo una persona nuova. Possiamo sembrare gli stessi, probabilmente è così, il cambiamento non è visibile, almeno non alla maggior parte di noi, ma siamo cambiati, completamente, per sempre.»

 

Chi vuoi diventare?

Quando lavoro al fianco dei miei clienti pongo loro una domanda all’apparenza semplice, ma la più difficile a cui rispondere: chi vuoi diventare?
Non chi vuoi rimanere, ma chi vuoi diventare.

Provate a pensare ai vostri cambiamenti: come eravate 10 anni fa? E 5?
Forse è il fatto che le persone cerchino di non cambiare che è innaturale. È innaturale voler rimanere fermi, aggrappati a qualcosa che non è più, agli oggetti e ai ricordi, così come ci aggrappiamo al nostro essere, al passato, al com’era bello prima che, all’ho sempre fatto così…

Il fatto è che a restare fermi non si cresce, non si evolve, non si diventa persone migliori.
Questa è la prima frase che ho scritto in mezzo a un foglio quando, nel 2012, preparavo i testi per il mio sito web. Già lo sapevo che tutto sarebbe presto cambiato o, meglio, si sarebbe evoluto in qualcos’altro.

 

Niente è cambiato anche se tutto è diverso

Siamo anime in continuo mutamento, dentro una vertigine che danza al di là del tempo.
Cristina Donà

I giapponesi hanno una parola meravigliosa per descrivere il miglioramento: Kaizen.

È la composizione di due termini: KAI, cambiamento e miglioramento e ZEN, buono e migliore. Significa cambiamento, miglioramento continuo, cambiare in meglio.
L’ha coniata Masaki Mai nel 1986 per descrivere la filosofia di business e i successi dell’industria nipponica degli anni 80, in particolare in Toyota.

Se nella pratica economica il Kaizen si riferisce all’efficienza e al miglioramento dei processi produttivi, nella pratica quotidiana possiamo pensare al Kaizen come una strategia di miglioramento e di rinnovamento fatto di piccoli passi.

 

A furia di stare fermi si rischia di cadere*

Il fatto è che il cambiamento a volte ci lascia impietriti, altre ci fa scappare e nascondere. Ci sorprende all’improvviso e ne abbiamo paura.
È tutta colpa dell’adrenalina, quell’ormone che il nostro corpo attiva (con il cortisolo, l’ormone dello stress), quando ci sentiamo in pericolo e che innesca una serie di cambiamenti fisiologici per rispondere: attacca o fuggi, fight or flight dicono gli inglesi.

Invece di scappare possiamo invece abbracciare il cambiamento. Allentando la presa potremmo scoprire qualcosa che ci toglie il fiato e che è pura adrenalina sì, ma quella che spinge, quella che dà la forza di affrontare nemici, demoni e lupi.

 

Allentando la tensione possiamo iniziare a vedere in modo diverso, farci trasportare verso una nuova dimensione, perché per restare in equilibrio serve muoversi sempre, e accorgerci che davanti a noi c’è una nuova occasione, una nuova rinascita.

 

Rinascere ogni volta

Sono passati 7 anni, dicevo. Quando mi sono resa conto di questo nuovo ciclo di 7, qualcosa era già accaduto e stava già accadendo. È successo in maniera naturale, come in primavera tutto rinasce e rifiorisce, perché è giusto così.

In questo nuovo ciclo, quello lavorativo in particolare, non sono più da sola. C’è Chiara con me.
Abbiamo iniziato a parlarne per caso una volta di fronte a un aperitivo e abbiamo continuato a farlo per mesi e mesi. Abbiamo pensato, progettato, scritto e disegnato e abbiamo scelto di mettere insieme i nostri due punti di vista e dare vita a qualcosa di nuovo.


È nata Kanji, un segno che diventa altro, si trasforma, un segno che ne fa nascere altri e li fa crescere per farli diventare ciò che sognano.
Da mesi, qui dietro a Kanji, Chiara e io lavoriamo ogni giorno per sciogliere nodi, unire i puntini e trovare un modo nuovo di aiutare imprese e professionisti a lasciare il loro segno.
La cosa più sorprendente è stata partire non da noi, ma da chi possiamo aiutare. E tutto il resto è venuto da sé.

Ne racconteremo i passi, promesso. Iniziamo a farlo da qui, per mostrare le nostre riflessioni e quanto sta succedendo (c’è anche una Newsletter che partirà nelle prossime settimane).

Fa paura?
Altro che! Fa tanta paura: c’è l’ignoto, c’è il “ce la faremo?”, accompagnati da quella sindrome che accomuna tutti noi che ci siamo lanciati in questa avventura che è il lavoro in proprio.

Il fatto è che c’è qualcosa di più profondo a spingerci: è quella voglia, quel desiderio di volare e di rinascere ogni volta, ancora e ancora.

 

 

*[Grazie a Mafe De Baggis]

 

Questo articolo nasce dal mio intervento per Donne in proprio storie in equilibrio per Rete al Femminile Biella.

 

 

 

Tatiana Cazzaro
copywriter relazionale e communication strategist
Da bambina scrivevo sui muri. Oggi scrivo dappertutto. Mi occupo di scrittura, strategie di comunicazione e formazione. Aiuto le persone e le imprese (che sono fatte di persone) a scoprire un modo nuovo di comunicare e raccontarsi, che parte da chi vogliono diventare.
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